Se ti manca solo qualche anno prima della quiescenza, forse si!
Per tutti coloro che dovranno sudare per un po’ di anni prima di andare in pensione, quasi certamente, ogni tentativo calcolo sull’importo dell’assegno futuro rappresenta una stima.
La data 1 Gennaio 1996 funge da spartiacque per il calcolo dell’assegno di pensionamento degli Italiani.
Fino al 31 Dicembre 1995, infatti, la nostra pensione era sostanzialmente funzione di:
– anni di contributi versati;
– importo del reddito degli ultimi anni;
– tasso % di sostituzione, che rappresentava la percentuale che calcolata sulla media degli ultimi stipendi, restituiva l’importo della pensione.
Dal ‘96, tuttavia, è profondamente cambiato il meccanismo di calcolo della nostra pensione in quanto diventano rilevanti nuovi parametri, quindi:
– anni di contributi (considerando totale dei fondi che sottoforma di contribuiti vengono versati alla Cassa previdenziale);
– l’andamento del PIL, quale indice di salute e crescita economica del nostro Paese;
– attesa di vita, che sostanzialmente evidenzia criticità nella bilancia delle Casse degli Enti previdenziali, dovute allo squilibrio tra n. contribuenti e n. percettori di assegni pensionistici.
Se al primo punto è intuibile il fatto che più contributi – in soldoni – si versano, più sarà alto l’assegno/pensione, sugli altri due punti un piccolo approfondimento è giusto farlo.
Cosa c’entra il Prodotto Interno Lordo (PIL) con la pensione futura?
Il PIL è un tasso percentuale che, rilevato periodicamente, esprime l’andamento della crescita dell’intero sistema economico di un Paese. Se positivo, sta ad indicare che l’economia cresce, si produce di più e tali condizioni sono foriere di nuove assunzioni, minori sussidi alla disoccupazione…in definitiva migliori condizioni di bilancio per le casse che pagano i trattamenti pensionistici.
Ebbene, negli anni che verranno, se il PIL sarà positivo i contributi accumuleranno interessi e il montante crescerà: fattore positivo per la pensione.
Al contrario, crisi finanziarie e recessioni, faranno calare il PIL, quindi ciò che verseremo come contributi resterà infruttifero e quasto, per contro, sarà un fattore negativo per il nostro assegno pensionistico.
E la speranza di vita?
Nel grafico in basso, viene rappresentato il quadro demografico dell’Italia nel 2040.
Gli istogrammi evidenziano due aspetti previsionali:
1. il ridotto numero di abitanti giovani rispetto alle fascie di età più adulte;
2. il fenomeno della longevità che interessa la popolazione femminile.
Da un punto di vista finanziario è chiaro che i parametri di pensionamento in termini di requisiti di età anagrafica e contributiva, subiranno un innalzamento graduale dell’asticella, se è vero che ci saranno sempre più longevi e sempre meno contribuenti.
In più è da considerare un ulteriore aspetto: i giovani trovano lavoro e quindi iniziano a versare contributi, in età via via sempre più avanzata e la stabilità professionale non certo favorisce le giovani generazioni che si inseriscono nel mondo del lavoro.
In definitiva sono tanti i fattori che incideranno sull’importo del fatidico assegno di quiescenza ed è decisivo, ancora una volta, il ruolo dell’educazione finanziaria verso i risparmiatori, i quali, con un’attenta gestione del patrimonio durante la vita lavorativa, possono rimediare a questa incertezza; a condizione che il problema si affronti per tempo.